FERDINANDO SALVATORE CATENAZZI
Lozzo 12/10/1901 – dicembre/1999
Il vecchio Lupo (soprannome con cui era noto in tutta la Valle) ha rappresentato qualcosa di
unico nel panorama dei personaggi che hanno vissuto a Lozzo nel novecento.
Lupo per tutti ma al secolo Ferdinando Salvatore Catenazzi, nato il 12 ottobre 1901 a Lozzo e
qui deceduto nel dicembre del 1999, del tutto convinto di riuscire a festeggiare il suo
centenario con l’intera comunità pagando di tasca propria una colossale bevuta .
Di professione muratore, emigrato in Svizzera
e poi ritornato in patria a lavorare, era stato
volontario nella guerra coloniale di Abissinia e
veterano nella seconda guerra mondiale.
Era amante del vino e delle donne, da lui
chiamate tutte indistintamente e
democraticamente «lupette» ed alle quali non
mancava mai di prestare le sue attenzioni e
simpatiche galanterie anche all’alba dei
novanta anni suonati.
Avrebbe potuto benissimo essere un
personaggio ideale di un racconto di Piero
Chiara.
Nessuno poteva portargli via il suo ruolo di
apripista nelle processioni. Si dice che sia stato proprio Lupo ad aver ripristinato la tradizione
della processione con la vecchia statua in legno di S. Antonio, conservata in una nicchia
laterale della chiesa di Lozzo, dopo che un anno un incendio aveva messo in pericolo la valle.
Tutti sapevano che S. Antonio era il protettore
dalla neve e dal fuoco e quindi era necessario
portare il Santo sulle spalle per le vie di Lozzo in
modo che il paese avesse potuto beneficiare della
sua benevolenza. Lupo stesso sarebbe stato in
testa al corteo.
Non si perdeva una festa che fosse una.
Per alcuni anni ho rivestito il ruolo di «banditore»
durante l’incanto delle torte nel pomeriggio del 15
agosto. Una bella tradizione che vedeve le
famiglie portare torte, dolci e ceste di vini per
metterle all’asta, affinché il ricavato fosse
devoluto alla Chiesa di Lozzo. Lupo era tra coloro
che portavano una propria torta per ricomprarsela ad un prezzo ( molto alto, va detto) da lui
stesso stabilito. Era un gioco a cui tutti sottostavano volentieri, alzando la posta e fingendo di
disputarsi la torta del Lupo, pronti a tirarsi indietro quando la sua mano si alzava per dire:
fermi tutti, a quel prezzo la ritiro io! Una divertente asta «truccata» a fin di bene, che divertiva
tutti, grandi e piccini, ammassati nella piazza anche sotto un sole cocente che batteva
impietosamente sulle teste.
Quanti lo hanno conosciuto ricordano vividamente il suo caratteristico incedere - ultimata la
processione dell’Assunta, nel pomeriggio di ogni 15 agosto - per presentarsi al «banco» della
mescita del vino col suo vestito bianco, cappello da marinaio e farfallino blu o rosso. Quel
gesto ufficializzava al paese che la parte religiosa della festa era stata completata e
cominciava quella più laica e non meno gradita. Prendeva una seggiola, si accomodava di
fianco al «banco» per stare in posizione strategica e all’ombra, e trascorreva almeno un paio
d’ore di vedetta guardandosi soddisfatto in giro, circondato dall’affetto degli amici e
conoscenti che venivano a salutarlo e scambiare due battute. Soprattutto apprezzava le
signore, le sue «lupette». I suoi occhi diventavano due fessure luminose ed il sorriso scavava le
sue guance asciutte e rugose dai molti anni.
L’ordine di scuderia impartito dagli organizzatori al servizio mescita era da anni sempre lo
stesso : « Tagliate il vino con buona parte d’acqua! ». Non tracannava in modo ingordo, ma
centellinava a piccoli sorsi, fin quando la figlia, che conosceva benissimo i suoi limiti di
sopportazione, veniva a prelevarlo per riportarlo sottobraccio a casa e metterlo in poltrona a
riposare.
Una leggenda, che molti giurano essere la verità, racconta che quando aveva circa cinquanta o
sessanta primavere il medico gli predisse che se avesse continuato a bere e fumare non
avrebbe campato altri dieci anni. Morì prima il medico.
Ad ottata anni suonati fu visto arrampicarsi sul vecchio e imponente ciliegio che fronteggiava il
suo appezzamento per tagliarne i rami. Una sera rotolò lungo il crinale della pineta mentre
tornava da Armio essendo malfermo sulle gambe per una bevuta. Non si fece nulla, solo
qualche livido ed ecchimosi. Due giorni dopo era ancora in giro a ridere e scherzare come
sempre,
D’altra parte, come ci ha raccontato sua nipote, era un «monellaccio» sin da piccolo. Un
aneddoto che lo riguarda riferisce che quando avrà avuto si e no una dozzina d’anni o giù di lì,
quindi siamo grosso modo nella seconda decade del 1900, in paese mentre tutti gli adulti
erano via ad accudire le bestie o fare il fieno negli alpeggi, a lui ( il più «anziano») veniva
affidato il compito di badare ai bambini lasciati soli. Non trovò di meglio per intrattenerli, un
giorno, che entrare in canonica, indossare l’abito talare e mettersi a distribuire la scorta di
ostie lasciate dal prete. Poi, non contento, organizzò una processione fino al cimitero con tutto
il codazzo dietro per tenere un discorso. Solo che uno dei bambini cadde dal muraglione e -
seppur non gravemente - si fece male e la storia saltò fuori.
Da adulto, durante la seconda guerra mondiale, Lozzo era controllata dalla milizia essendo
prossima al confine con la Svizzera, e Lupo, riservista sui generis, organizzava il contrabbando
con squadre di spalloni ( che lo chiamavano il «capobanda») per portare oltre il confine - di
notte - merce da barattare con sigarette, zucchero e altre mercanzie. Un espisodio di questo
periodo che lo riguarda - sia pure col beneficio della fantasia - l’ho inserito nel racconto « Il
confine» contenuto nella mia raccolta « Monterozzo ed altre storie del lago».
Il vecchio Lupo è stato uno di quei personaggi tipici di un mondo che è oramai scomparso e
che non tornerà più. E’ nato il primo anno del XX secolo e si è spento nel penultimo anno dello
stesso. Lo ha attraversato tutto come un arco perfetto, come quegli arcobaleni che a Lozzo si
vedono spesso dopo i forti temporali estivi e che vanno da un estremo all’altro della catena di
montagne che circoscrivono la valle.
Salvatore Benvenga
LE VITE, LE STORIE DEI PERSONAGGI DI LOZZO